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Astrit Lulushi: un nome, Astrit, che racchiude in sé una vocazione ✍️A cura di Maria Elena Mignosi Picone

Tamikio L Dooley
  • প্রকাশিত: শনিবার, ২১ ডিসেম্বর, ২০২৪
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Maria Elena Mignosi Picone

ASTRIT LULUSHI

Presented by Maria Teresa Liuzzo

Astrit Lulushi: un nome, Astrit, che racchiude in sé una vocazione

 

A cura di Maria Elena Mignosi Picone

 

Astrit Lulushi: un nome, Astrit, che racchiude in sé una vocazione, quella di essere Astro, e con la maiuscola! Non scintillio come di fuoco fatuo ma con lo splendore che sovrasta tutte le stelle del cielo, proprio come la cometa della Notte di Natale, che diventa il punto di riferimento per l’umanità intera.

 

Il suo volto è comparso nel numero di Ottobre, che è proprio il mese della sua nascita, sulla copertina della Rivista Letteraria Internazionale “Le Muse”, fondata e diretta dalla poetessa e scrittrice Maria Teresa Liuzzo, che dell’opera dell’autore è anche interprete e traduttrice, oltre che grande estimatrice, e il volto di lui colpisce, oltre che per la beltà, soprattutto per la profonda tristezza. E la sua è la tristezza di chi non solo ha sperimentato il dolore ma anche di chi ha preso su di sé il dolore del mondo: l’ingiustizia, l’oppressione, la violenza e tant’altro. E il dolore egli lo provò in sommo grado: l’oppressione del regime dittatoriale del suo paese, l’Albania; la malattia, sin da piccolo, e poi la morte, a trentadue anni, del figlio; l’abbandono della propria terra per un paese straniero, l’America, in una età, a venti anni, quando fu costretto dal regime a interrompere gli studi all’Università, trattamento riservato a coloro che non fossero stati ligi agli orientamenti del governo. Approdò fortunosamente nella terra della libertà, superati rischi e pericoli gravissimi, spinto soltanto dalla forza della disperazione. Così, oltre che cittadino albanese divenne pure cittadino americano. Anzi, ancor di più, divenne “La voce dell’America”, nel senso che là , accolto benevolmente e molto apprezzato, fu giornalista, e si distinse per l’acutezza e la profondità nel cogliere e interpretare i fatti in campo storico, politico, sociale, culturale, e così via.

 

Nonostante fosse stato strappato via dagli studi, Astrit Lulushi, animato da grande fervore, li continuò ugualmente, e si dedicò al loro approfondimento, nei campi più disparati, studiando da autodidatta. E non fu soltanto giornalista, ma divenne anche scrittore, in qualità di romanziere, narratore di racconti, traduttore, saggista, critico letterario e di arte, poeta; fu, inoltre, storico, filosofo, e si spinse perfino sino alle vette della trascendenza. Una poliedricità sbalorditiva! Fu cattolico e mantenne sempre fedeltà al suo credo, con stretta adesione e profonda consapevolezza. Molto apprezzati furono anche i suoi pensieri e i suoi consigli, perché riconosciuta da tutti era la sua saggezza, frutto di esperienza di vita. Come ad esempio le sue riflessioni sulla poesia, di cui pone a fondamento proprio l’esperienza, oltre il talento. Così scrive al proposito: “È sofferta la vita del poeta, con le gocce del proprio sangue / Rammenta e ricama le parole / appese al filo della vita.” E ancora: “Il poeta è un generale sia di giorno che di notte: stabilisce la giustizia e la realtà. / La sua saggezza e il suo potere abbracciano la natura e l’Umanità.” E aggiunge inoltre: “Il poeta è Maestro tra i filosofi.”

 

La sua fama, tra l’altro controversa in Albania, per i giudizi menzogneri e faziosi del regime, non è legata solo alla mole monumentale delle sue opere, ma la fama più bella è quella che gli deriva dalla sua umanità. Fu uomo di grande sensibilità e profondità, mite, generoso, compassionevole, rivolto in particolar modo agli ultimi. Ne avvertì la sofferenza come fosse la propria, fu un crocifisso. E della Passione di Gesù ne sperimentò tutti i momenti.

 

Amò gli amici e anche i nemici. Lasciò all’Albania il suo immenso patrimonio di opere e, nella sua indignazione fino al sarcasmo e all’invettiva verso il regime dittatoriale con la palese ingiustizia, menzogna e crudeltà, provò più che odio, piuttosto, invece, pietà. L’Albania, comunque, gli è rimasta sempre nel cuore, era la sua terra natale. In una intervista rilasciata a Maria Teresa Liuzzo, così dice: “ L’America è diventata il mio secondo paese e l’ansia la mia seconda lingua. Penso in albanese, scrivo in albanese per gli albanesi.” Afferma Maria Teresa Liuzzo sulla Rivista “Le Muse” del mese di Ottobre, nell’articolo intitolato “Astrit Lulushi: un uomo nella storia tra l’umano e il divino”: “La scrittura di Astrit Lulushi ha il valore della vita”, egli ha scritto “enciclopedie dove tutto si mostra e si diversifica raggiungendo un’armonia sublime. È diventato: “La voce dell’America”. È dunque, un messaggero di Dio che impasta le parole con il proprio sangue, la propria carne e la propria pelle restituendo all’umanità divinità e libertà.”

 

Nell’amore che mise in tutte le sue cose, pensieri, scritti e opere, in lui l’elemento umano si fonde con il divino. Entrambi si intrecciano come fossero un tutt’uno. E qui viene in mente San Josemaria Escrivà de Balagner: mettendo amore in tutto quello che si compie, tutto si intride del sapore del divino; infatti Dio è amore. E cielo e terra il nostro autore abbraccia perché egli unisce mirabilmente in sé concretezza e contemplazione, realtà e trascendenza.

 

Astrit Alushi amò, oltre gli esseri umani, anche moltissimo la natura. Scrive nei suoi versi: “Anche la terra è come un essere umano: si disseta, si nutre, fiorisce, fruttifica e muore / se nessuno si prende cura di essa. “ E nella poesia “Acqua salata”: “Mare disteso, si abbracciano le onde. / È venuto incontro a te / sussurrando “ti amo”, / aveva percorso molta strada, / solo per abbracciarti /… / Sii sereno, mare dell’amore.”

 

E il suo animo ricco di sentimento lo rivelò pure tenendo presenti i lettori delle sue opere. “Chiarità è carità” recita un noto detto. L’espressione e il modo di porgersi è quello di un padre, di un fratello, di un confidente, quasi si avverte l’affetto di un familiare. Lo stile della sua scrittura è infatti essenzialmente chiaro, cristallino, elegante nella sua semplicità e raffinatezza, lungi dall’essere ricercato o retorico, e sempre grondante di affettuosità. Si avverte dietro alle sue parole il suo cuore che palpita. E che soffre. Soffre per l’ingiustizia, la disuguaglianza, per la violenza, per la guerra, per tutto, ovunque ci sia dolore. È un uomo triste ma la sua non è una tristezza acida, lamentevole, no, ma, paradossalmente, ha la sua bellezza, perché è il riflesso della sua bontà. E nella sua tristezza non c’è la gravità del vecchio ma la freschezza, l’innocenza, la meraviglia dell’infante. Ha un animo, e lo ha sempre conservato, di fanciullo. Evoca “l’eterno fanciullino” di pascoliana memoria. E nel fondo del suo cuore c’è ottimismo. Egli infatti crede fermamente nel trionfo del bene. Da cattolico quale era, e devoto alla Chiesa, crede con tutte le sue forze che “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa.”

 

Ironia della sorte, nello stesso mese di Ottobre, lui, che Maria Teresa Liuzzo, nella Rivista “Le Muse” dello stesso mese, aveva proclamato il personaggio dell’anno, inesorabile, invece, lo colse la morte. Astrit Lulushi lascia un profondo rimpianto in coloro che lo hanno amato, e rimarrà indimenticabile e ineguagliabile, , unico e irraggiungibile. Ora certamente egli risplende come Astro nel firmamento del cielo, luminosa stella cometa per l’umanità.

 

Maria Elena Mignosi Picone

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